Luigi Di Maio (Instagram)

Salvini comanda, Dibba si ricandida. Ora la leadership di Di Maio traballa

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Il Movimento 5 Stelle è una polveriera. Alcuni considerano eccessiva la richiesta di Luigi Di Maio, quella di mettere sotto accusa il Capo dello Stato. Altri, invece, vogliono andare fino in fondo. Poi c’è la piazza, il web. Un putiferio. Domenica sera il capo politico dei pentastellati ha visto fallire la sua strategia a un passo dal successo. La lista era pronta, con un premier, Giuseppe Conte, indicato dai grillini e Giggino come punta di diamante. In corsa come vice presidente e ministro dello Sviluppo Economico. Poi qualcosa ha iniziato ad andare storto. La forzatura su Paolo Savona ha irritato il Quirinale, che alla fine ha detto no. Ed è saltato tutto.

Nell’indignazione generale, ci sono una serie di voci fuori dal coro. Per esempio, alcuni parlamentari pentastellati contestano il fatto che Savona fosse una scelta leghista. Di Maio, dicono, ha subìto il braccio di ferro tra Salvini e Mattarella, patendone le conseguenze. Una condizione in parte ammessa anche dal diretto interessato. Che ieri ha rivelato di aver fatto altri due nomi alternativi per il ministero dell’Economia (“Bagnai e Siri, ma il Colle ha detto no”), riconoscendo i suoi dubbi rispetto alla linea del Piave tenuta dal Carroccio su Savona. “Allora”, riferisce un senatore grillino all’AdnKronos, “doveva essere Salvini a chiedere l’impeachment, non noi”, visto che il sedicente affronto quirinalizio riguardava anzitutto la Lega. Invece il “capitano” sta facendo il vago. Ci gira attorno. Senza chiarire se, sulla messa in stato d’accusa, c’è pure la sua firma o no.

Ma Di Maio ha anche l’esigenza di coprirsi sul fianco oltranzista. Ora che Alessandro Di Battista annuncia che il suo viaggio in Sud America sarà un soggiorno breve e che tornerà per le elezioni, con l’intenzione di candidarsi: chi sarà il leader, ancora il trentunenne di Pomigliano d’Arco o il Dibba? Nel MoVimento c’è chi inizia a considerare l’esito della crisi e il mancato approdo al governo come una sconfitta personale dell’ex vice presidente della Camera. Beppe Grillo tace. La famiglia Di Battista – padre e figlio – cannoneggiano. Roberto Fico è prigioniero di un ruolo istituzionale che non gli permette sbavature. Però il presidente della Camera disapprova lo spostamento a destra del movimento. Ed è assolutamente contrario a un’alleanza M5s-Lega alle elezioni. Cosa che invece Di Maio non esclude affatto.

Ieri Giggino è tornato a incontrarsi con Salvini. In assenza di un esecutivo, hanno deciso di chiedere che almeno partano le Commissioni parlamentari, visto che una maggioranza, quella gialloverde, c’è. Sulla prosecuzione del rapporto, però, Salvini si tiene più defilato di Di Maio. Il leader del Carroccio ha l’opportunità di rimettere in piedi l’alleanza di centrodestra, egemonizzandola. Per questo, cioè per non rompere definitivamente le relazioni con Forza Italia, Matteo ha nicchiato sull’impeachment. Insomma, ora è la Lega che accende i due forni in vista delle elezioni. Fidarsi di Salvini? Di Maio è pronto ancora a scommetterci. Ma rischia di bruciarsi la carriera.  

 

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