Salvini Tafazzi

Salvini o Tafazzi: per il contratto di governo 1 leghista su 3 è ineleggibile

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E’ più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago. Che un politico possa entrare in Parlamento. Con le nuove regole sul conflitto di interessi, inserite nel contratto di governo, è proprio così. Perché la misura, ispirata dai Cinquestelle e accettata dai leghisti, estende a dismisura i casi di incompatibilità. Chiunque sia portatore di un interesse privato può vedere precludersi la propria carriera politica. Non solo quella di governo, ma anche l’elezione in Parlamento. Perché, rispetto alla legge attuale, il M5s vuole allargare i criteri di ineleggibilità anche alle cariche parlamentari, “ai sindaci delle grandi città e ai dirigenti delle società partecipate dallo Stato”. Una tagliola tanto severa finisce per colpire anche i suoi promotori. I leghisti, anzitutto. Che ha una classe dirigente fatta di imprenditori, manager e amministratori locali. Non certo di scappati di casa.

E’ chiaro che l’enunciato inserito del contratto andrà poi tradotto in legge. E bisognerà vedere in che modo la coalizione gialloverde sarà intenzionata a farlo. Il rischio è che il tutto finisca per trasformarsi della bottiglia di Tafazzi. Un atto di autolesionismo. Un modo per capire meglio cosa abbiano in testa i pentastellati è andare a ritroso negli archivi. E vedere come hanno affrontato il tema del conflitto di interessi nella scorsa legislatura. Cercando, ci si imbatte nella proposta di legge a prima firma Fabiana Dadone, sottoscritta anche da Roberto Fico, Riccardo Fraccaro e Danilo Toninelli. La disciplina proposta dal Movimento 5 Stelle era severa: chiunque aveva partecipazioni superiori al 5 percento del capitale di una società doveva stare alla larga dai palazzi della politica. Seguiva una black list di aziende, da quelle che operavano in regime di concessione pubblica a tutte le società che avevano un qualsiasi rapporto negoziale o contrattuale con la Pubblica amministrazione. Insomma chi faceva impresa, secondo la regola grillina, non poteva essere eletto in Parlamento. E non bastava nemmeno intestare le proprie quote a un parente, i 5s avevano previsto anche la clausola anti-furbi: l’ineleggibilità valeva anche se il soggetto controllante o gestore era il coniuge, il convivente di fatto, un parente fino al quarto grado. Gli interessi privati, nella proposta pentastellata, erano incompatibili anche con gli incarichi di governo. Nazionale e locale.   

Se i cinquestelle dovessero riproporre queste stesse regole (e sembrano intenzionati a farlo) i primi a farne le spese sarebbero proprio i loro compagni di avventura. Secondo il sito Openpolis.it, il 28 percento dei parlamentari leghisti hanno un incarico societario. Uno su tre. Mentre il 21,6 percento di deputati e senatori salviniani detengono partecipazioni aziendali. Il recordman è Massimo Bitonci, ex sindaco di Padova, con 11 incarichi aziendali e 3 proprietà aziendali, a pari merito con Giulio Centemero, anche lui con 11 incarichi aziendali, tra cui Ad di Radio Padania.

 

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