La maggioranza brasiliana
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“Brasiliana” stretta al Senato. Alla maggioranza gialloverde servono altri colori

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Il governo ottiene la fiducia con 171 voti. Ed è chiaro subito che in Senato la “brasiliana” di Giuseppe Conte è troppo stretta. Alla maggioranza gialloverde vanno aggiunti altri colori. Il premier ne è assolutamente consapevole. Tant’è che ieri mattina, nel suo discorso programmatico, ha subito avviato la campagna acquisti: “Siamo disponibili a valutare in corso d’opera l’apporto di gruppi parlamentari che vorranno condividere il nostro cammino e aderire al contratto di governo”. A Conte hanno spiegato che i primi giorni è tutto facile. Ma quando a Palazzo Madama comincia la routine, allora lo scivolone è sempre in agguato. Cinquestelle più Lega hanno appena sei voti in più rispetto al quorum. Vari senatori, come Matteo Salvini, sono stati nominati ministri. Altri faranno i sottosegretari. Avranno, cioè, impegni istituzionali incompatibili con la necessità di garantire un numero soddisfacente di culi di pietra in aula.

PERDONO, PERDONO, PERDONO

La primissima pesca a strascico ha portato dentro un tot di senatori. Ma erano obiettivi tutto sommato facili. Sono gli ex grillini messi all’indice per essersi tenuti una parte dell’indennità da restituire. In realtà, Maurizio Buccarella e Carlo Martelli non aspettavano altro che essere richiamati in squadra. Anche l’adesione dei due senatori del Maie era data per scontata dopo le aperture del leader Ricardo Antonio Merlo. Per lui ora c’è in ballo un ruolo di sottosegretario con delega agli Italiani nel mondo.   A questi quattro voti in più se ne aggiungeranno altri? Il premier guarda soprattutto a Fratelli d’Italia. Luigi Di Maio ha voluto tenere gli ex An fuori dal governo. Ma per loro si aprirebbe la possibilità di alcune presidenze di Commissione: la Difesa alla Camera e la Politiche Comunitarie al Senato. Ieri sera il partito di Giorgia Meloni si è astenuto. “Vedremo cosa succederà”, tiene aperta la porta Ignazio La Russa, “valuteremo i provvedimenti di volta in volta”. L’esordio di Conte non è dispiaciuto: “Sembra un Gentiloni del centrodestra…”, dice La Russa all’Agi.   

“Comincia il reclutamento”, ironizza Pier Ferdinando Casini. Alla fine la lista delle astensioni è lunga. Ed è una sorta di mano non esplicita all’esecutivo. Perché abbassa l’asticella dei voti di maggioranza che occorrono al governo per far passare le sue leggi. I senatori a vita Mario Monti, Liliana Segre ed Elena Cattaneo scelgono questa strada. Per i membri non eletti del Parlamento la neutralità è una consuetudine. Anche una parte del gruppo delle Autonomie si astiene. “Il nostro mandato è rappresentare gli interessi territoriali delle autonomie cercando un confronto con tutti i governi. Il nostro è un gesto di buona volontà”, spiega la capogruppo Julia Unterberger. Non tutti la seguono, però: Bressa e Casini votano contro.

“DISCORSO PENOSO”

Forza Italia decide di non unirsi al gruppo dei volenterosi. Silvio Berlusconi ha visto in tv la perfomance del presidente del Consiglio e non è per niente soddisfatto: “Mi è sembrato un discorso penoso”, ha commentato il Cav con i suoi, “faremo un’opposizione dura”. La linea del presidente di Forza Italia è di tenere Salvini al riparo dalle critiche, “menando” sugli altri. A partire dal capo del governo che, nel suo esordio in Parlamento, ha scelto una deriva “troppo grillina”. In privato, però, Silvio ha criticato il segretario leghista: “Ha lasciato tutti i ministeri economici ai Cinquestelle, che fesseria!”. Nel pomeriggio Fi si riunisce per ribadire la linea da tenere in Parlamento. L’intervento programmatico di Conte e i suoi accenti “troppo giustizialisti” sopiscono i residui dubbi. Sarà un no. A sorpresa, solo Vittorio Sgarbi ipotizza la possibilità di votare la fiducia, ricordando il precedente del governo Dini, quando Berlusconi nottetempo cambiò linea e decise di sostenere l’esecutivo del suo ex ministro.

LE PARTI LEGHISTE SBIANCHETTATE

Stavolta non succederà: “Questo governo è la maschera di tante contraddizioni, Non concederemo la fiducia. Nel contratto”, attacca Anna Maria Bernini in dichiarazione di voto, “è stato indicato il cosa, non il come e mai con quali soldi”. Raccontano anche di un disappunto leghista verso il premier. In particolare di Giancarlo Giorgetti. Erano d’accordo che il discorso di Conte sottolineasse un paio di temi cari al Carroccio. Chissà come, però, quei passaggi alla fine sono stati sbianchettati. “Io contento? è una parola grossa”, dice il ministro Paolo Savona andando via.     

 

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