Giuseppe Conte, primo giorno
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Montecitorio è un Maracanà. E all’esordiente Conte viene il braccino

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Alle sette, alla Buvette, è l’ora dello spritz. E del bilancio di giornata. Il plasma che sovrasta il bancone diffonde le immagini dell’aula. Il presidente Roberto Fico sta leggendo il risultato delle votazioni. La fiducia al governo gialloverde passa con 350 voti a favore, 236 contrari e 35 astensioni. Bene, no? In realtà l’aritmetica non dice tutto di questo mercoledì di attività parlamentare intensiva. L’esordio a Montecitorio del professore Giuseppe Conte è stato meno brillante del giorno precedente, quando il cinquantatreenne di Volturara Appula ha illustrato il suo programma davanti ai membri della Camera alta.  “Il Senato è più piccolo, più intimo”, spiega un deputato mentre trangugia il mix di Aperol e soda. La Camera, al confronto, è il Maracanà. Quando urlano in duecento, non si capisce più nulla. E il timbro aggressivo dell’opposizione, specie quella dei banchi democratici, ha intimorito un po’ il neo premier.

A Montecitorio il presidente del Consiglio non ha illustrato il suo discorso programmatico limitandosi a consegnare il testo letto a Palazzo Madama. Però è intervenuto nel pomeriggio in sede di replica. E ha zoppicato. Mettendo in fila una serie di gaffe e imprecisioni che hanno appannato la sua seconda uscita istituzionale. Conte ha cominciato con uno sfondone, trasformando la “presunzione di non colpevolezza” in “presunzione di colpevolezza”. Lapsus freudiano, nonostante egli abbia più volte precisato di non guidare un esecutivo e una maggioranza manettare. Conte ha poi provato a chiudere le polemiche dei giorni scorsi con il Quirinale omaggiando il fratello di Sergio Mattarella, vittima della mafia. Ma gli sfuggiva il nome, Piersanti, e l’ha chiamato un “congiunto”. Altro peccato di inesperienza, quando il professore ha perso le staffe per le urla di Forza Italia e Partito democratico, e ha accusato ciascuno componente dell’emiciclo di avere “il suo conflitto di interesse”. Irrispettoso. Insomma non una prestazione convincente. Alcuni temi sono stati trattati di striscio. Altri totalmente dimenticati: “Fidel Castro parlava otto ore di fila, Conte ha dovuto fare delle scelte…”, ha provato a giustificarlo in Transatlantico il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli.  

I numeri, almeno quelli, premiano il presidente del Consiglio. L’esecutivo incassa i voti di Cinquestelle e Lega. Già sufficienti. Poi si sono aggiunti i sì del Movimento associativo degli italiani all’estero, gruppo dove hanno trovato ospitalità i transfughi grillini. A sorpresa anche Vittorio Sgarbi ha vota per Conte. Con una motivazione iperbolica: “Dove c’è disordine e ignoranza io prospero, darò la fiducia piena a questo governo per vedere il vostro declino”, dichiara in aula il deputato azzurro. E’ il solo in Forza Italia. Silvio Berlusconi ha dato indicazioni ai suoi di fare opposizione dura. Così è stato. “Questo non è il governo di cui l’Italia ha bisogno e lei come Renzi, Letta e Monti non è stato votato dagli italiani”, dice Mariastella Gelmini nella sua dichiarazione di voto. “Questo è un esecutivo frutto di un compromesso, voi direste “inciucio” tra programmi diversi”.

In effetti nell’emiciclo di Montecitorio emerge l’evidenza di una fusione a freddo. I vertici di Lega e M5s magari hanno trovato l’amalgama, ma le rispettive basi parlamentari non si filano proprio. Quando applaudono i grillini, i leghisti stanno immobili. E viceversa. Il gradimento all’unisono arriva solo alla fine, quando Conte incassa la fiducia. E allora è corsa a stringergli la mano e a scattare i selfie di rito. Il resto della giornata è invece costellato di piccoli e grandi episodi divisivi. Come quando il presidente della Camera Roberto Fico richiama all’ordine Matteo Salvini perché si sieda ai banchi del governo e non tra i deputati leghisti: “Lei è un senatore!”.  E quando in Transatlantico scoppia un nuovo caso Paolo Savona. L’economista, decentrato dall’Economia al ministero degli Affari europei per volontà del Quirinale, ha chiesto che gli venisse assegnata la delega per gestire i fondi comunitari. La cosa fa infuriare i grillini, perché è una materia che tocca al ministro per il Sud Barbara Lezzi. Non se ne parla proprio.

 

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