Maria Elena Boschi (Instagram)

Sorpresa: si rivota per le Province (che non sono mai state abolite)

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Le Province sono abolite. Anzi no. Uscite dalla porta, rientrano dalla finestra. Il 31 ottobre ci sarà un mega turno elettorale per eleggerne i presidenti e i consiglieri. Con una postilla. Gigante. A decidere non saranno i cittadini, ma, per effetto della riforma Delrio, voteranno sindaci e consiglieri comunali. Si tratta di “elezioni di secondo livello”. O comunemente detta beffa. Perché le Province, che ora si chiamano “Enti con funzioni di area vasta”,  non hanno mai smesso di produrre costi. L’unico taglio è stato dato proprio al prezzo della democrazia, le urne.

ASSALTO GIALLOVERDE

Nel decreto Milleproroghe del governo gialloverde è stato deciso di accorpare tutti i rinnovi, prorogando quelli in scadenza e anticipando gli altri. Il disegno politico della maggioranza è chiaro: il Pd governa in quasi tutte le Province, ma ora, dati alla mano, le perderebbe in blocco, a vantaggio di Lega e Cinquestelle, che nel frattempo hanno conquistato una grande quantità di sindaci e consiglieri negli enti locali. E si trovano nella condizione di fare cappotto.  Il premier Giuseppe Conte ha anche annunciato l’intenzione di procedere a una modifica della riforma Delrio. Che probabilmente chiuderà il malinteso. Perché in realtà quella legge cambiava solo le funzioni, la cancellazione vera e propria sarebbe dovuta arrivare con la riforma costituzionale, quella bocciata dagli elettori.

MEZZA RIFORMA

Nel testo della riforma Boschi si parlava di “eliminazione dalla Costituzione del riferimento al livello di governo provinciale”. Prima della Caporetto renziana del 4 dicembre 2016 era intervenuta una legge ordinaria, la 7 aprile 2014, n. 56, a modificare l’organizzazione delle Province. Che venivano ribattezzate “Enti con funzioni di area vasta”. Essi mantenevano più o meno le stesse funzioni: ambiente, strade provinciali, edilizia scolastica, tra l’altro. Insomma: le Province sono sì sopravvissute, ma senza risorse sufficienti a fare nulla. La Finanziaria 2015 aveva tolto loro tre miliardi, ma aveva lasciato l’onere di gestire 130 mila chilometri di strade provinciali e 5.100 scuole superiori. Le Province di Biella, Caserta e Vibo sono fallite, altre 14 Province erano ad un passo dalla bancarotta.  

RISPARMI MAI VISTI

Secondo il Pd la riforma avrebbe anche ridotto la spesa delle amministrazioni provinciali di 320 milioni di euro. Dati mai confermati dalla Ragioneria dello Stato, che ha definito “non quantificabile” il risparmio asserito dal governo piddino, dal momento che le funzioni esercitate dalle Province, unitamente al personale addetto, avrebbero dovuto essere trasferite ad altri enti od organi amministrativi. Risparmi marginali sono arrivati anche dal cambio di sistema di selezione della guida politica. Non più eletta dai cittadini, ma scelta tra i sindaci dei Comuni presenti nel territorio provinciale. Per cui: in assenza di tagli economici significativi, unica ragione vera della riforma, essa ha finito per incasinare competenze e livelli decisionali.

SISTEMA DI VOTO

I presidenti delle Province verranno eletti dai sindaci, con un sistema di voto ponderato in base al numero degli abitanti dei loro Comuni, e se fino a qualche anno fa questi erano in larghissima parte esponenti del Pd, oggi il vento è decisamente cambiato. I leghisti sono sicuri di riuscire a conquistare, grazie ai voti degli eletti col centrodestra e facendo asse coi Cinquestelle, la quasi totalità dei presidenti di Provincia. Fino a tre anni fa il M5s valeva zero nelle amministrazioni locali, ma oggi le cose non sono più così: i Cinquestelle hanno sindaci importanti e molti consiglieri comunali. Potrebbero sommarli alla forza leghista nel Centro Nord. E questo potrebbe essere un nuovo banco di prova importante dell’alleanza gialloverde.

 

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