Luigi Di Maio (Facebook)

MES, accordo in maggioranza con supercazzola. Ma i grillini perdono pezzi

La maggioranza sul Mes c’è. Sia alla Camera che al Senato. A fine giornata Giuseppe Conte incassa il sostegno della coalizione giallorossa e può andare a Bruxelles, a negoziare con i partner europei, forte di un mandato del Parlamento. Ma i numeri non dicono tutto. L’aritmetica non aiuta a descrivere il caos che c’è nel Movimento 5 Stelle.  E’ un mercoledì lunghissimo. Che comincia alle prime luci del mattino, quando gli sherpa partoriscono una risoluzione che sembra accontentare tutti, sia i turbo europeisti del Pd, sia gli scettici grillini. 

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Luigi Di Maio trova una liana a cui attaccarsi in una giungla di termini tecnici. E’ la “logica del pacchetto”, spiega. Vuol dire che il meccanismo europeo di stabilità sarà accettato dai 5s solo se all’interno di una riforma complessiva che contempli anche l’Unione bancaria e il Bicc (bilancio della zona euro). Ma i portavoce grillini capiscono ben presto che, più di pacchetto, si tratta di pacco. Per tutto il giorno si susseguono voci di abbandoni al Senato. C’è chi considera imminente una transumanza di pentastellati (cinque) verso il gruppo della Lega. Alla fine non succede, ma in quattro si ribellano agli ordini di scuderia e votano contro la risoluzione pro Mes. Sono Gianluigi Paragone, Ugo Grassi, Stefano Lucidi, Luigi Di Marzio. 

Alle 9.30 Conte arriva a Montecitorio. “Il Mes”, spiega, “non è indirizzato contro un particolare Paese o costruito a vantaggio di alcuni Paesi e a scapito di altri, ma è un’assicurazione contro il pericolo di contagio e panico finanziario a vantaggio di tutti’. In particolare, aggiunge, “l’Italia non ha nulla da temere anche perché il suo debito è pienamente sostenibile, come dimostrano le valutazioni delle principali istituzioni internazionali, inclusa la Commissione, e come confermano i mercati”. In caso di emergenza, prevede la risoluzione della maggioranza, ci sarà “il pieno coinvolgimento del Parlamento in una eventuale richiesta di attivazione del Meccanismo europeo di stabilità con una procedura chiara di coordinamento e di approvazione”.  Poco dopo, a margine dell’audizione presso la Commissione Schengen, parla Di Maio: “Finché non avremo il quadro chiaro della situazione è logico che non si firma niente”, ribadisce. E poi attacca l’opposizione: “Salvini e Meloni sono quelli che ci hanno regalato il Mes. La prima negoziazione parte dal governo Berlusconi 2010-2011”.

La battaglia si ripete in Aula a suon di insulti: “Buffone”, “traditore”, “venduto”. Cinquestelle e Carroccio se ne dicono di ogni. L’oscar dell’originalità va tuttavia al leghista Dimitri Coin. Che fa mettere a verbale il seguente auspicio: “Al mattino, nonostante il Mes, vorrei svegliarmi nel letto con mia moglie e non con un burocrate sodomita”. Non da meno il meloniano Andrea Delmastro Delle Vedove: la risoluzione, conclude il suo intervento, è “la supercazzola con cui i pentastellati hanno concesso la sodomizzazione finanziaria dell’Italia”. E va be’. L’altra protagonista della giornata è Giorgia Meloni. Perché se da un lato i giallorossi si spaccano, il centrodestra trova un accordo su una risoluzione unitaria superando la diversità di vedute che c’era sui temi europei. L’opera di mediazione è stata portata avanti dalla leader di Fratelli d’Italia, che ha sentito al telefono Silvio Berlusconi e ha convinto il Cavaliere a recedere dall’intenzione di presentare una risoluzione autonoma, firmata solo da Forza Italia. “Abbiamo presentato una risoluzione unitaria di tutto il centrodestra per dire chiaramente no al Mes”, dichiara il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Francesco Lollobrigida. “Noi non svenderemo la nostra sovranità in Europa. Vedremo chi si schiererà con chi”. 

A Montecitorio finisce con 291 voti favorevoli e 222 contrari. Dodici grillini si danno alla macchia (con certificato medico, informa il gruppo). Ma è al Senato che scoppia il caso, quello vero. Il senatore Luigi Di Marzio viene dato in arrivo al gruppo misto. Ma poi lo convincono a restare. Il dissenso però emerge nelle dichiarazioni di voto: “Constato di non riconoscermi più nelle politiche del mio Movimento”, dice Ugo Grassi. Parole analoghe arrivano da Francesco Urraro: il tema del Mes, ricorda, è “fuori dal programma 5 stelle”. Pure Gianluigi Paragone dichiara il suo no, precisando di non avere la valigia pronta. L’ultimo dissenziente grillino è Stefano Lucidi: “Qualcuno qualche giorno fa ha detto che le elezioni in Umbria erano un esperimento: io non mi sento una cavia e neanche un criceto, quindi esco dalla ruota e voto no”. 

Infine prende la parola Matteo Salvini. Che respinge l’accusa di aver avviato il “mercato delle vacche”. Si limita a provocare gli ex alleati, ricordando che il programma elettorale 5s era esplicitamente contrario al Meccanismo europeo di stabilità. Per chi vuole restare “coerente”, dichiara Salvini, “le porte della Lega sono aperte alle donne e agli uomini di buona volontà. Noi non andremo mai col Pd delle tasse e dell’austerità, noi non cambiamo idea”. Ed è lo stesso Lucidi a confermare che l’ex ministro dell’Interno ha avuto colloqui con i senatori grillini delusi dalla linea del Movimento: “L’ho visto qualche tempo fa. E gli ho chiesto: “Se tu avessi perso sei milioni di voti, come Di Maio,  cosa avresti fatto?”. Lui mi ha risposto: ‘Mi avrebbero defenestrato…'”. 

 

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